Sulle strade della Provenza andiamo alla scoperta della prima Lexus concepita esclusivamente per essere mossa da un propulsore elettrico, la RZ450e (da non confondere con la prima Lexus totalmente elettrica, la UX300e, nata però da un progetto che contempla anche l’uso del propulsore termico). Il vantaggio di partire da una piattaforma ideata per la trazione elettrica si traduce in una libertà di progettazione che non ritroviamo quando si parla di auto adattata al sistema con le batterie.

La RZ 450e è un SUV coupé dotato di trazione integrale che nasce sulla stessa piattaforma della Toyota bZ4x e della Subaru Solterra, ma che coi suoi 313 cavalli è più potente rispetto alle sorellastre (218 CV). Nella carrozzeria ritroviamo la classica forma a clessidra che caratterizza le auto del marchio nipponico, l’abitacolo è in linea con le attese: parliamo di un’auto del segmento premium, dal prezzo non proprio alla portata di tutte le tasche, e ci si attende dunque interni curati e di classe, luminosi e ospitali, come in effetti si confermano quando si sale a bordo e si prende in mano il volante.

Ah ecco, il volante! Qui c’è del nuovo e dell’attraente. Al momento del lancio, l’RZ è dotato di un servosterzo elettrico a cremagliera tradizionale e presenta un volante a tre razze comune a tutte le vetture. Però dal 2025 questo sarà il primo modello a utilizzare (in opzione) il nuovo sistema di sterzo elettrico «steer-by-wire» One Motion Grip attualmente in fase di sviluppo avanzato e che noi abbiamo già potuto testare. Al posto del tradizionale collegamento meccanico tra volante e asse anteriore, attraverso il piantone dello sterzo, il sistema comunica gli input di sterzata del guidatore alle ruote in modo elettronico. Il risultato è una risposta immediata e un controllo dello sterzo più preciso, un vero spasso.

Con questo sistema, invece di far compiere quasi tre giri al volante per andare da tutto a destra a tutto a sinistra, ne basta meno di uno e dunque ecco apparire nell’abitacolo un cosiddetto volante a farfalla, tagliato sopra e sotto, una replica di quelli che vengono usati per esempio in Formula Uno. La guida con questo volante è semplice, pulita, precisa e divertente.

La capacità lorda della batteria è di 71,4 kWh, quella netta di 64 kWh. Yoichiro Kasai, vice capo ingegnere dei veicoli elettrificati di Lexus, ammette che “questa capacità non è effettivamente molto importante, ma riflette la nostra volontà di offrire il miglior equilibrio tra autonomia, efficienza, costi e dimensioni”. A sostegno della sua tesi, l’ingegnere afferma che la batteria da 71,4 kWh pesa già 500 kg. “Se avessimo utilizzato batterie da 90 kWh, l’auto sarebbe stata 100 kg più pesante. Questo avrebbe avuto un impatto significativo sul suo dinamismo”. Il SUV pesa poco più di due tonnellate e traducendo tutto questo in termini di autonomia, ecco che arriviamo a circa 400 chilometri, che in rapporto alla maggior parte dei prodotti offerti dalla concorrenza per questo prezzo sono un po’… tirati. Lexus promette però una grande tenuta delle sue batterie e i suoi dirigenti affermano che dopo dieci anni la capacità sarà ancora pari al 90%.

Nell’abitacolo della nuova RZ 450e troneggia un mega schermo tattile da 14 pollici, la consolle centrale è molto pratica, gli spazi per i passeggeri e il guidatore sono ampi e comodi. Le prime impressioni di guida sono eccellenti: i due propulsori elettrici che assicurano la trazione integrale non strappano mai, l’accelerazione è più che briosa, un sistema chiamato Direct4, distribuisce in maniera variabile la potenza fra avantreno e retrotreno analizzando l’evolversi della situazione di guida. Ne risulta una trazione ottimizzata e anche l’efficienza della guida ne beneficia. Buona l’insonorizzazione dell’abitacolo, al passo coi tempi una generosa offerta di aiuti alla guida. Tre gli allestimenti previsti in Svizzera, dove la RZ450e è già disponibile: Impression, Comfort e Exellence.

A zonzo per le strade di Copenaghen alla guida del nuovo VW ID.Buzz ci si sente al centro dell’attenzione.
La gente guarda sfrecciare il nuovo van di Volkswagen, l’erede del mitico Bulli, con grande curiosità ed ammirazione. Fermi al semaforo, si sente addosso lo sguardo dei passanti, alcuni dei quali indicano col dito al vicino il nuovo furgoncino messo a punto dalla casa tedesca. 
 

Nella città delle biciclette, molto sensibile ad una mobilità sostenibile, l’ID.Buzz mosso da un motore elettrico posto sull’asse posteriore non fa certo la figura dell’intruso e con il suo design sbarazzino cattura immediatamente la simpatia del pubblico e anche la nostra. 

Diciamo che sin dalla presentazione del suo prototipo, avvenuta qualche anno fa, ID.Buzz ha suscitato grandi aspettative, che ora la vettura prodotta in serie (già ordinabile e in arrivo alla fine dell’autunno), sia nella declinazione van, sia in quella cargo, riesce a soddisfare alla grande. I disegnatori di Volkswagen hanno davvero svolto un lavoro egregio: l’ID.Buzz è l’elogio della semplicità, l’esaltazione della purezza delle linee, esercita un forte potere attrattivo, è un prodotto contemporaneo che però ipoteca anche il futuro. In tutto e per tutto, è l’erede del mitico T1 prodotto nel 1950 e trasferisce nel mondo della mobilità elettrica tutte le qualità dell’antenato. 

Funzionale, eclettico, fuori compatto e dentro spazioso, ben rifinito: l’ID.Buzz ha tutto per sfondare perché è figlio del nostro tempo e si presta a molteplici usi. Come van è perfettamente adatto alla famiglia, al tempo libero, ma anche al lavoro. Come cargo offre spazi generosi e geniali. Dal punto di vista tecnico, detto che essendo un prodotto di ultima generazione ha tutto quello che deve servire in fatto di tecnologia e aiuti alla guida (piccolo dettaglio: può essere provvisto di assistenza al parcheggio con funzione di memorizzazione così da ritrovare da solo la posizione) parliamo di un veicolo che è stato sottoposto ad una cura meticolosa a livello di carrozzeria, tanto che ha un coefficiente di penetrazione aerodinamico dello 0,285.

Grazie ad un angolo di sterzata di 11,1 metri, l’ID.Buzz diventa docile e maneggevole anche quando si entra nell’ambiente urbano, mentre la posizione della batteria, integrata in profondità nel sottoscocca, abbassa il baricentro e riduce al minimo il rollio nonostante una carrozzeria piuttosto alta. A proposito di batteria: parliamo di una potenza di 77 kWh, che permette un’autonomia di circa 420 km (i dati divergono di poco, a dipendenza che si parli di van o di cargo). Ma il dato più importante, parlando di mobilità  elettrica, riguarda la capacità di ricarica, che in questo caso si attesta su una potenza di 170 kWcon cui è possibile portare il livello di carica dal 5 all’80% in 30 minuti. A livello di abitacolo l’ID.Buzz offre cinque posti comodi, mentre la strumentazione di bordo riprende tutti gli elementi della linea ID che troviamo anche sulla 3, la 4 e la 5.

 

 

La Ford Mustang Match-E GT rappresenta il top di gamma del marchio americano nell’ambito della sua offensiva per la motorizzazione elettrica e sforna numeri davvero impressionanti, anche se non saranno in grado di soddisfare gli appassionati che ancora rimpiangono quella ritengono essere la sola e autentica Mustang, ossia il modello iconico che montava il motore termico e richiama alla memoria gare in circuito e potenze stratosferiche.

Con la Mustang Match-E nella versione GT però, come detto, i dati sono da supercar: 487 cavalli e 860 Nm di coppia, che stando ai dati forniti dalla casa consentirebbero un’accelerazione da 0 a 100 km/h in meno di 3,7 secondi. Tempo per la verità messo in dubbio da chi ha potuto organizzare dei test su pista con la stessa vettura che abbiamo potuto guidare noi, i colleghi de “La Revue Automobile”, i quali sono arrivati a misurare 4,4 secondi. Da parte nostra, possiamo invece mettere in dubbio l’autonomia dichiarata dalla casa per questo modello, che monta un pacco batterie della capacità netta di 91 kWh, il quale dovrebbe permettere 490 km di autonomia. Nel nostro test, il computer di bordo a carica completa non è mai andato sopra i 300 km, ma per completezza di informazione riferiamo anche i dati misurati sempre dai colleghi de “La Revue Automobile” che hanno testato l’auto in primavera e non in inverno, con conseguente aumento dell’autonomia fino a 380 chilometri. Già che siamo in tema: la ricarica avviene fino ad una potenza massima di 150 kW, il che consente di passare dal 10 all’80% della capacità della batteria in soli 45 minuti.

Al di là dei numeri, la Mustang Match-E GT si caratterizza per le sue finiture esclusive (tra i quali la vistosa calandra con motivo a nido d’ape, cerchi in lega da 20 pollici, sedili sportivi, i dischi ventilati da 19 pollici dei freni anteriori con le pinze rosse firmate Brembo) e per un assetto ribassato rispetto agli altri modelli di 11 millimetri. Il telaio si adatta mille volte al secondo alle condizioni istantanee del terreno, assicurando alla Mustang Mach-E GT la massima stabilità sull’asfalto. Questa funzionalità adattiva si basa su sospensioni adattive MagneRide e ammortizzatori dotati di un fluido idraulico ricco di particelle metalliche, in grado di adeguarsi quasi in tempo reale al mutare del fondo stradale. Ne risulta un veicolo che praticamente in ogni condizione riesce a rimanere incollato all’asfalto e a garantire una grande stabilità che elimina beccheggio e rollio, affrontando le curve in maniera fluida e silenziosa.

Tra le quattro modalità di guida offerte dal sistema (che monta due motori elettrici), ve n’è una denominata Untamed Plus, appositamente concepita per i circuiti, che consente di sfruttare tutta la potenza del motore.

L’abitacolo è ampio e lussuoso, caratterizzato da un enorme schermo verticale posizionato centralmente tra conducente e passeggero: parliamo di un pannello verticale da 15,5 pollici attraverso cui interagire con il nuovo Sync 4, un sistema (ovviamente a sfioramento) ottimamente costruito ma che richiede un po’ di tempo per un utilizzo immediato e completo. Anche l’apertura delle porte avviene senza l’ausilio di maniglie poco estetiche: basta schiacciare un pulsantino e il gioco è fatto.

Il pacchetto degli assistenti alla guida è notevole: di serie viene offerto tutto ciò che permette di raggiungere un livello 2 di guida autonoma e dunque cruise control adattivo, sensori e telecamera posteriore, monitoraggio dell’angolo cieco, riconoscimento dei segnali stradali, frenata automatica d’emergenza, controllo elettronico della trazione e della stabilità e intelligent speed assist, che permette una regolazione automatica della velocità massima sulla base del rilevamento della segnaletica stradale da parte della telecamera.

La Volkswagen ID.4 è un’auto completamente elettrica che a New York si è vista attribuire il premio di “Auto dell’anno 2021” da una giuria composta da più di 90 giornalisti internazionali del settore automobilistico, provenienti da 24 paesi. 

Per il nostro test saliamo a bordo della versione 1ST Max Pro Performance, dal prezzo base non proprio alla portata di tutti i borsellini: con i vari optional l’auto che abbiamo guidato arriva a costare 64’507 franchi, ma accontentandosi della versione basic si parte da 50’800.- 

Prima constatazione: questa ID.4 non ha la trazione integrale, ma solo quella sulle ruote posteriori. Per la 4×4 occorre andare sul modello GTX col prezzo che sale ulteriormente. La ID.4 nasce sul pianale MEB destinato alle vetture elettriche del gruppo Volkswagen (la prima ad adottarlo è stata la ID.3, tra le… sorellastre indichiamo anche la Skoda Enyak). Il motore è posizionato fra le ruote posteriori e le batterie sotto il pavimento, il che consente di disporre di un abitacolo generoso in fatto di spazio. 

Non aspettatevi però un arredamento lussuoso: dentro trionfa il minimalismo, con un colpo d’occhio che francamente non ci ha entusiasmato. Il grado di parentela con l’ID.3 è evidente, ma qui lo spazio è maggiore. Le plastiche utilizzate nell’abitacolo non contribuiscono a generare una percezione di qualità. Anche la mancanza di retroilluminazione dei tasti per la regolazione della climatizzazione è un difetto; il loro funzionamento touch non è sempre preciso e contribuisce a distogliere l’attenzione dalla guida. 

Il punto forte di questa elettrica firmata VW è certamente rappresentato dal pacchetto tecnologico di cui è dotata. Uno degli optional a bordo della ID.4 è il futuristico display head-up con realtà aumentata che può proiettare sul parabrezza informazioni importanti, come le frecce delle indicazioni stradali durante la navigazione. Il conducente le vede ad una distanza apparente da tre a dieci metri su scala tridimensionale, perfettamente integrate nel mondo esterno reale. Se la regolazione della distanza ACC o il Travel Assist sono attivi, a partire da una determinata velocità il veicolo che precede la ID.4 viene contrassegnato con una scia luminosa sul display head-up, per mantenere la distanza necessaria. La ID.4 è un’auto completamente digitalizzata che può essere messa a giorno da remoto. Ormai lo standard è questo, con vantaggi e pericoli che ne derivano. Addio privacy, possibilità di “curiosare” tra i dati raccolti da parte di chi gestisce da lontano la nostra auto, esposizione ad attacchi di pirateria informatica e via dicendo. 

Buono l’equipaggiamento di serie, con cruise control adattativo, frenata automatica d’emergenza, mantenimento in corsia e riconoscimento della segnaletica stradale. La 1ST Max dispone anche della guida semiautonoma nel traffico e i suoi  ammortizzatori elettronici contribuiscono a migliorare la qualità della vita a bordo e l’insonorizzazione. 

La casa dichiara 500 km di autonomia, ma noi abbiamo effettuato il test in inverno, quando come noto il rendimento della batteria (da 77 kWh sulla ID.4) non è ottimale. Ci siamo però avvicinati ai 400 km, ma come non ci stancheremo mai di ripetere, stile di guida e condizioni ambientali contribuiscono poi ad una forte variazione dell’autonomia: provare a pigiare a fondo il pedale del gas per capire perché il livello di energia residua va giù come una lama di coltello infilata nel burro. 

Il motore è vivace, ma sulla ID.4 una guida sportiva è poco consigliata se non impossibile: in curva si percepisce un po’ di rollio. Le accelerazioni sono potenti come in tutte le auto elettriche, ma la spinta sembrerebbe qui un po’ più controllata e progressiva, tale da non incollarti al sedile. Peccato che non si possa regolare la frenata rigenerativa. In definitiva, questa VW è un’auto nata per essere guidata in maniera tranquilla e rilassante, anche grazie al buon comfort che riesce a garantire a bordo. 

È un’auto riservata ad una ristretta cerchia di previlegiati e a parere di chi scrive, pronto ad essere smentito da qualche possessore del modello, non proprio adatta per andare e tornare dal lavoro ogni giorno. Parlo della Porsche 911 Carrera GTS, che ho avuto la possibilità di provare col cambio automatico PDK a otto rapporti.


Anche se non si tratta della straripante 911 Turbo (580 CV e 750 Nm di coppia!), la 911 Carrera GTS è una belva pronta a scatenarsi non appena schiacci il pedale dell’acceleratore, con un motore selvaggio che ruggisce al primo affondo e mette in moto un sei cilindri fantastico e nemmeno troppo assetato, considerando il suo volume. Guidando senza inserire la modalità «sport plus», che è in grado di scatenare l’inferno, nei tragitti urbani il consumo di carburante è leggermente inferiore agli 11 litri per 100 chilometri e rispetta le indicazioni della casa. Peraltro, è giusto sottolineare che volendo, il tre litri della 911 GTS può anche fare il bravo e comportarsi in maniera docile, senza rombare come un forsennato e trovando la giusta maniera di adattarsi a ogni tipo di strada.


Il nuovo modello della Porsche 911 Carrera GTS è stato elaborato con l’obiettivo di accentuarne la sportività e la maneggevolezza. Ai tecnici della casa tedesca è riuscita l’impresa di aumentare la cavalleria rispetto alla generazione precedente (30 CV) anche grazie al risparmio di peso ottenuto alleggerendo la struttura del veicolo (che dopo la dieta ha perso 25 kg). Anche la ripresa ne ha guadagnato e ora per raggiungere i 100 km/h la 911 GTS impiega addirittura solo 3,3 secondi, tre decimi in meno della generazione precedente.
Questi dati avvalorano la tesi di chi pensa che questa sia soprattutto un’auto destinata a dare il meglio di sé quando non è imbrigliata dalle norme legislative della circolazione, ossia in circuito, dove può dar sfogo alla sua propensione che definiremmo quasi agonistica.

L’assetto, derivato dalla 911 Turbo e tarato per la 911 GTS, soddisfa i requisiti di elevate prestazioni: grazie al sistema di gestione delle sospensioni attivo Porsche (PASM) di serie, gli ammortizzatori reagiscono istantaneamente ai cambiamenti dinamici. Su
un’auto del genere, l’impianto frenante è fondamentale e gli ingegneri di Porsche hanno adattato la potenza di decelerazione alle prestazioni migliorate della 911 GTS, ciò che permette una guida sicura e un controllo perfetto del veicolo: la 911 Carrera GTS si affida al freno ad alte prestazioni della 911 Turbo.
Un telaio rigido al punto giusto supporta un motore potente e dalle prestazioni strabilianti mentre l’architettura di questa Porsche è arricchita da una struttura leggera e da un gruppo sospensioni-ammortizzatori di prim’ordine. Aggiungiamoci un cambio morbido e sinuoso, uno sterzo preciso come un compasso e avremo le condizioni perfette per una simbiosi ideale tra macchina e pilota, un’armonia che crea emozione, regala soddisfazione e permette di mangiarsi l’asfalto.

L’affidabilità, la classe e la versatilità di una Range Rover si ritrovano completamente anche nell’Evoque ibrida, auto capace di percorrere quasi 55 km in modalità totalmente elettrica, mossa da un doppio motore, un tre cilindri a benzina da 1,5 litri, al quale è abbinato un motore elettrico sull’assale posteriore, in grado di garantire così la trazione continua sulle quattro ruote. La trasmissione è assicurata da un cambio a 8 rapporti molto elastico e fluido, che permette una guida scorrevole e agile, facilitata non solo da un pacchetto di assistenza di prim’ordine, ma anche da una posizione rialzata che permette un buon controllo della strada.

Il sistema ibrido ricaricabile (PHEV) può funzionare a scelta del conducente in modalità completamente elettrica, oppure affidandosi unicamente al motore termico, oppure permettendo ad una centralina di combinare entrambi i modi a dipendenza delle varie situazioni, utilizzando i dati GPS rilevati nel corso della guida così da ottimizzare l’efficacia di ogni percorso.

Più che decantare l’ottima qualità della vita a bordo offerta da un marchio premium come Range Rover, nel caso dell’Evoque ibrida che abbiamo testato (il modello P300e nella versione con cambio automatico R-Dyn SE) vogliamo mettere l’accento sull’efficienza di questo modello. Quando si pensa ad una Range Rover si fa riferimento ad un’auto dalla mole piuttosto imponente e la Evoque col suo peso di oltre due tonnellate non sfugge alla filosofia della casa. Ma stavolta gli ingegneri hanno fatto un buon lavoro, abbinando al motore a tre cilindri da 1,5 litri (dal peso di 37 kg inferiore rispetto a quello del motore a 4 cilindri che alimenta altri modelli dell’Evoque) un propulsore elettrico capace di erogare 109 CV: il risultato, che non preclude nulla sul piano della sportività del modello (6,4 secondi da 0 a 100 km/h) si vede soprattutto sul piano dei consumi e delle emissioni, con dati controllati in laboratorio di 2 litri di benzina per 100 km percorsi ed emissioni di CO2 pari a 44g per chilometro. Il lettore si domanderà se nel nostro test abbiamo potuto riscontrare il dato inerente al consumo di carburante dichiarato dalla casa: in realtà, nella pratica i dati risultano sempre superiori rispetto a quelli riscontrati al banco durante il test, ma con la batteria carica al 100% siamo rimasti attorno a 3-4 litri per 100 km e abbiamo testato l’auto in inverno, periodo durante il quale è giusto sapere che la batteria non esprime il massimo del suo potenziale. Diverso il discorso sui consumi se non si fa il pieno di energia elettrica: allora anche il tre cilindri diventa assetato e i litri di benzina necessari per muoversi aumentano in maniera consistente.

Se a livello di abitacolo abbiamo apprezzato l’eleganza dell’allestimento, la comodità dei sedili, l’ottima risposta del sistema infotainment, al quale si accede in maniera semplice e intuitiva, a livello di guida va detto che l’ibrido non toglie nulla alla proverbiale ecletticità del marchio Range Rover. L’Evoque ha uno spunto degno di nota, è capace di muoversi con disinvoltura su ogni terreno e non delude mai chi la conduce, sia quando si adotta una guida difensiva e da crociera, sia quando si vuol spingersi con maggior dinamismo e sportività. Apprezzata la buona insonorizzazione, il raggio di curvatura permette manovre disinvolte anche in città.

Dacia Duster, il robusto e versatile SUV del marchio rumeno che a cavallo tra il 2021 e il 2022 ha raggiunto i due milioni di unità vendute in 60 paesi del mondo, dallo scorso autunno è disponibile dai concessionari in versione aggiornata. Si tratta di un rinnovamento nel segno della continuità, non di una rivoluzione. E non poteva essere altrimenti, visto il successo ottenuto da questa vettura, che incarna perfettamente la filosofia di Dacia, ispirata al pragmatismo e all’essenzialità, con un’offerta che per quanto concerne il rapporto qualità-prezzo è imbattibile.

 

Fedele al suo DNA, il nuovo Duster rimane un SUV famigliare, con una vocazione per l’avventura che si esalta nella versione 4×4. Peccato che, per esigenze di mercato, Dacia abbia rinunciato a proporre una versione a trazione integrale dotata di cambio automatico, che sarebbe stata perfetta per la clientela svizzera. Chi vuole la trazione sulle quattro ruote, dovrà dunque adattarsi al cambio manuale.

A livello di design, il nuovo Duster conferma sostanzialmente le linee che caratterizzavano il modello precedente, ma presenta un’evoluzione a livello della calandra, completamente nuova, e dei gruppi ottici, sia anteriori sia posteriori, rivisitati con l’introduzione della tecnologia LED. Spicca, nei fanali, una Y posta in orizzontale, che regala personalità ed eleganza della vettura.

Se la meccanica non è cambiata, sono per contro molte le novità proposte a livello di abitacolo dalla nuova Duster. Nuova è la selleria, nuovi i poggiatesta e la console centrale rialzata, che presenta un braccio scorrevole ed è dotata di un vano portaoggetti chiuso da 1,1 litri. Sul retro, a disposizione dei passeggeri, due prese USB che si ritrovano anche nella plancia della vettura, nella quale spicca il nuovo schermo da 8 pollici in versione touch. Sono delle novità anche due pacchetti multimediali, Media Display e Media Nav. Con Media Display, l’equipaggiamento comprende 6 altoparlanti, radio DAB, connettività Bluetooth e la funzione di replicazione dello smartphone compatibile con Apple CarPlay e Android Auto. Il Media Nav si arricchisce della navigazione a bordo e della connettività Wi-Fi (wireless) per Apple CarPlay e Android Auto.

Di grande aiuto, tra i molti ADAS offerti di serie e in opzione, le quattro telecamere che permettono un controllo totale (anche laterale) dello spazio attorno alla vettura e si rivelano utili non solo nel fuoristrada, ma anche in città, per evitare ammaccature nei parcheggi ed evitare i bordi dei marciapiedi.

Per la Svizzera sono previsti tre allestimenti, Essential, Comfort e Prestige, e quattro differenti motorizzazioni, tre a benzina e una alimentata a diesel. Il motore TCe 90 è un 999 cc a benzina con potenza di 91 CV e cambio manuale a 6 rapporti; il TCe 130 è un milletre, sempre a benzina, che eroga 131 CV e si può avere solo col cambio manuale. C’è poi il TCe 150, sempre da 1,3 litri a benzina (150 CV), che si coniuga in due varianti, una con cambio automatico a doppia frizione (ma solo sulla versione con trazione anteriore) e una con cambio manuale e la trazione integrale. Infine, il diesel Blue dCi 115 (1461 cc) sprigiona 114 CV, ha un cambio manuale a sei rapporti ed è montato sia sulla variante a trazione anteriore, sia su quella a trazione integrale. Prezzo di partenza (Essential con motore TCe 90) 14’990 franchi, modello di punta (versione Prestige) sia con motore a benzina, sia diesel, a 23’090.- franchi.

 

 

 

 

Ha un aspetto da station wagon coupé con una linea filante e piena di grinta, il tettuccio che digrada sulla coda. Anche se questa categoria di auto non è quella più ricercata dal mercato, si può ben dire che la Mercedes CLA 250 e Shooting Brake che abbiamo potuto provare recentemente è una vettura che si fa apprezzare, perché offre spazio e grande versatilità, anche se la linea arcuata del tetto penalizza un po’ i passeggeri che devono accomodarsi sul divanetto posteriore di questo modello.

Per il nostro test abbiamo guidato la versione dotata della tecnologia EQ power ibrida plug in, che permette di ricaricare la batteria da 15.6 kWh (in 2 ore con la wallbox casalinga, in 25 minuti alle stazioni più potenti) e percorrere in modalità 100% elettrica più di una settantina di chilometri. Al motore elettrico è abbinato un quattro cilindri da 1,3 litri a benzina che lavorando in coppia permettono di contenere alla grande i consumi: si parla di un litro e mezzo di carburante per percorrere 100 chilometri.

La CLA 250 e Shooting Brake è un’auto importante, con una lunghezza che sfiora i 470 centimetri. Ha linee pulite, fiancate ampie, un frontale decisamente ispirato e coerente con quello della Classe A. Nel contenimento dei consumi, oltre alla tecnologia ibrida, concorre sicuramente anche l’ottimo coefficiente di penetrazione di quest’auto, che è di appena 0.23 Cx. Ampio lo spazio di carico nel bagagliaio, a bordo possono starci comodamente quattro persone, mentre la quinta avrà qualche difficoltà a causa del tunnel centrale un po’ ingombrante.

Restando sugli interni, bisogna sottolineare che stiamo parlando di una Mercedes e dunque di un’auto di classe, lussuosa e ben rifinita in ogni dettaglio. Al volante si percepisce quest’atmosfera high-tech, evidenziata in schermi sfavillanti e molto ampi, da una strumentazione di bordo ben posizionata e da comodi comandi vocali. In realtà, per poter comprendere tutte le funzioni che offre quest’auto occorrerebbe un lungo corso di apprendimento, osservazione che del resto vale un po’ per tutte le ultime novità proposte dal mercato e sempre più sofisticate a livello tecnologico. Qui siamo decisamente al top, con notevole apporto di qualità stilistica e di materiali di alta qualità come pelle, microfibra, alluminio e legno. A livello di guida, la seduta ci è apparsa un po’ bassa, ma la qualità dei sedili compensa parzialmente questo difetto.

Punto di forza di questa vettura è il sistema di infotainment, messo a disposizione tramite due pannelli da 10,25 pollici. Il quadro comandi è completamente personalizzabile, l’infotaiment vero e proprio si basa sul sistema MBUX che grazie ad un sofisticato software permette di controllare numerose funzioni dell’auto anche solo vocalmente, col comando «Hey Mercedes».

La guida di questa Mercedes è facile e divertente, sia per la presenza del motore elettrico, sia per l’importante dotazione di sistemi di assistenza alla guida. Senza avere la pretesa di raggiungere prestazioni da pura sportiva, la CLA 250 e Shooting Brake è vivace, briosa e dinamica, anche se il suo punto di forza rimane il viaggio lungo, la prestazione da crociera.

FLIMS – Cielo col broncio ma in progressivo rasserenamento e temperatura da piena estate: si annuncia comunque una buona giornata per raggiungere la nostra meta a bordo di una bella cabrio firmata Mazda, la MX-5 S-G 184 MT Revolution 4.

Destinazione Walhaus Flims Alpine Grand Hotel & Spa
Percorreremo la strada del passo del Lucomagno risalendo la valle di Blenio, quindi scenderemo a Disentis, dove sosteremo brevemente per visitare la splendida abbazia benedettina fondata nell’VIII secolo, prima di affrontare la strada della Surselva, attraversando centri abitati che hanno saputo conservare un carattere architettonico antico e originale (come Ilanz, che si vanta di essere la prima città sul Reno e sfoggia un pittoresco centro storico), per raggiungere infine Flims, dove ci attende un appassionante fine settimana nel lussuoso Waldhaus Flims Alpine Grand Hotel & Spa, un cinque stelle costruito nel lontano 1877, in seguito ampliato, ammodernato e poi completamente rimesso a nuovo nel 2016 con un investimento di circa 40 milioni di franchi. Qui eleganza storica e lusso si combinano piacevolmente con la modernità e la struttura alberghiera mette a disposizione dei suoi ospiti quello che, coi suoi 20 mila metri quadrati di superficie, è il più grande parco alberghiero della Svizzera.

Un roadster leggero e maneggevole
La Mazda MX-5 è un roadster leggero e incredibilmente maneggevole. Stiamo parlando del due posti secchi con la capote in tela ripiegabile manualmente, da non confondere con la sorellina RF, che ha il tetto rigido retrattile elettricamente.
Diciamo che il grande difetto di quest’auto è costituito dallo spazio, che è davvero minimo: nel bagagliaio due valige di medie dimensioni non ci stanno, nell’abitacolo scordatevi di poter appendere da qualche parte una custodia porta abiti o di infilare qualche oggetto appena più grande di uno smartphone: manca il cassetto portaoggetti davanti alla postazione del passeggero e gli altri spazi sono piccoli e scomodi (le porte ne sono del tutto prive).
Visto che la nostra meta, l’hotel Waldhaus, è un lussuoso cinque stelle dove almeno di sera è consigliabile mettersi qualche capo elegante per l’aperitivo e la cena, la preparazione dei bagagli adatti alla circostanza è risultata un’operazione piuttosto impegnativa e che ha comportato qualche dolorosa rinuncia.
La capote della Mazda MX-5 si ripiega e si posiziona nei due sensi con una facilità estrema. L’abitacolo è accogliente, ma spartano e sicuramente poco adatto a chi ha le gambe lunghe.

Una volta al volante però, la sensazione di scomodità che si prova nel prendere possesso della postazione di guida scompare, tutto è al posto giusto e si ha l’impressione di diventare un tutt’uno con la macchina, anche per la posizione della seduta (si sta a pochi centimetri da terra…). La nostra MX-5 è dotata di un motore due litri a benzina della potenza di 184 CV e di un cambio manuale a sei rapporti brillantissimo: gli innesti sono facilissimi, l’escursione della leva molto breve e la reattività della macchina ai comandi è spettacolare. Ce ne rendiamo conto salendo le rampe del Lucomagno e percorrendo la strada cantonale della Surselva. Il piacere di guida è assicurato da uno sterzo preciso, dall’aderenza del telaio alla strada, dalla capacità del motore di accelerare e illuminarsi sulle riprese.

 

Glamour Belle Époque e design moderno
Il nostro viaggio da Bellinzona fino a Flims dura un paio d’ore abbondanti, che trascorrono senza lasciare segni di stanchezza, ed ora davanti a noi si staglia imponente la sagoma del Waldhaus Flims Wellness Resort nella sua esagerata bellezza che richiama la Belle Époque, ma sposa anche un’architettura moderna, come l’imponente corpo vetrato che di fronte a giochi d’acqua accoglie gli ospiti prima di introdurli nella hall. La nostra Mazda fa bella mostra di sé prima di venir presa in consegna dal concierge per essere parcheggiata e, anche se non si tratta di un’auto dal prezzo inaccessibile (il nostro modello costa 39’990 franchi), le sue linee sinuose e il suo design moderno catturano gli occhi di molti ospiti dell’hotel.
Scegliendo il Waldhaus Flims Alpine Grand Hotel Spa ci catapultiamo in un’oasi di benessere di prima classe, che mette a disposizione della clientela 143 camere e suites eleganti e spaziose, dotate di ogni comfort e della più moderna tecnologia Wifi (un tablet in camera funge da telefono, telecomando tv e permette l’accesso ad un numero impressionante di giornali e riviste), 4 ristoranti, 2 bar, 13 sale riunioni con un’ampia sala in stile liberty e un Mini Club sorvegliato.

In un blocco esterno (ma raggiungibile tramite corridoi sotterranei) costruito nel 2016, luminosissimo grazie alle sue ampie vetrate e dal design architettonico futuristico, gli ospiti possono usufruire della Waldhaus Spa (3.000 m²) con area fitness aperta 24 ore su 24.

Tra le curiosità del Waldhaus, un museo aperto anche a chi non è cliente dell’hotel, che custodisce un incredibile patrimonio storico della Belle Époque: piccoli tesori provenienti dalle successive ristrutturazioni di quello che inizialmente era un Kurhaus, costruito nella seconda metà dell’Ottocento. Tra vasellame, suppellettili varie, attrezzi da cucina, mobili e vari oggetti legati all’attività alberghiera, si potrà ammirare anche la prima centrale telefonica dell’hotel, una delle prime dei Grigioni.

Al Waldhaus si va per essere coccolati da una squadra di professionisti competenti che non lascia nulla al caso, ma anche per cercare tranquillità e scoprire un patrimonio naturale ricchissimo. Le gole del Reno, il Caumasee e il Crestasee, fiori rari come le orchidee selvatiche che crescono spontaneamente sulle montagne, vette imponenti che d’inverno si aprono a pattuglie di sciatori nell’ampio comprensorio di Flims e Laax.
“Gli ospiti si aspettano un servizio di alta qualità da un hotel come il nostro; ma ciò che ci distingue è l’ambiente naturale che possiamo offrire, con un enorme parco intorno al Waldhaus Flims e una regione con laghi, prati alpini, gole, le Alpi e le cime delle montagne. Scoprire questa natura tocca il cuore di grandi e piccini”, spiega il direttore dell’albergo Burkhard Wolter.
Dal punto di vista gastronomico, l’hotel offre il ristorante “Epoca”, la cantina a volta dove consumare fondue e raclette “Il Tschaler”, il ristorante thailandese “Siam” e il ristorante italiano a conduzione familiare “Pomodoro”.

Noi abbiamo cenato all’Epoca, dove si può scegliere tra un menù definito tradizionale, un altro moderno e anche una proposta vegana. Piatti curati, basati su ingredienti strettamente imparentati col territorio, possono essere accompagnati da una scelta di vini che privilegia e valorizza la produzione grigionese in un quadro idilliaco e lussuoso, ricavato da un ampliamento del “Pavillon”, uno stabile tipicamente Belle Époque, che dominato da grandi vetrate in grado di assicurare una vista incantevole sulla vallata.

Dall’hotel di lusso al campeggio
Origini tedesche, 52 anni, sposato e padre di un figlio di 8 anni, Burkhard Wolter dal maggio del 2018 è managing director del Waldhaus Flims. Prima di affrontare la carriera come manager dell’industria alberghiera, dopo aver studiato economia aziendale negli USA, ha lavorato nel settore culinario, anche in Svizzera con un’esperienza a Crissier, nel mitico albergo-ristorante de l’Hôtel de Ville gestito da a suo tempo da Fredy Girardet e oggi da Franck Giovannini.
Emirati Arabi Uniti, USA, Sud-Est asiatico, Cina, Africa, Europa: un giramondo che in totale ha lavorato in 14 diverse nazioni. Dopo anni con Four Seasons, Shangri La, Kempisnki e Oberoi, il mandato del Waldhaus Flims lo ha riportato in Svizzera.
Di quest’uomo colpisce la modestia con la quale si approccia al suo interlocutore, ma anche la chiarezza di idee, la visione che lo porta a voler instaurare un particolare dialogo con la natura che ci circonda e a favorire questo dialogo anche tramite le proposte che rivolge ai suoi ospiti.
La sua destinazione per le vacanze preferita? “Il campeggio a una stella con la famiglia. La semplicità per me è qualcosa di importante. Le ultime tappe professionali a Shanghai, Mosca, Dubai sono state estenuanti. Mio figlio quando avevo quattro anni è riuscito a cambiare la mia password, ma non sapeva da dove viene il latte”.
Parlando della sua missione, afferma che “Il nostro compito è quello di ispirare i nostri ospiti con entusiasmo per permettere loro di apprezzare il complesso alberghiero con il suo centro benessere e i suoi ristoranti e di sviluppare le nostre competenze in modo tale che il soggiorno di ogni ospite sia unico e che le sue aspettative siano superate”.