Il ritiro di Beat Feuz, grande uomo e grande atleta

La Streif di Kitzbühel: terribile, angosciante al punto che qualche discesista una volta arrivato nella casetta dalla quale ci si lancia sulla pista decide di non provarci nemmeno. Uno che lì si è sempre trovato a suo agio, tanto da essere chiamato il re della Streif, è Didier Cuche, oggi quarantottenne, salito cinque volte sul gradino più alto del podio (nessuno come lui).

Proprio sulle nevi di Kitzbühel, nel 2012, Cuche annunciò che avrebbe messo fine alla sua immensa carriera. Il neocastellano però non interruppe bruscamente la stagione: arrivò sino alle finali di Schladming con ancora tanta fame di vittorie, e deliziò il pubblico che assistette alla sua ultima gara, un gigante, scendendo con un paio di sci di legno e una tenuta d’epoca. Fu uno spettacolo straordinario: ad ogni porta, “Didi” si fermava per ricevere l’abbraccio degli allenatori e degli addetti alla pista, un addio consumatosi dentro un tripudio di emozioni.

Stavolta le cose andranno in maniera differente: il trofeo dell’Hahnenkamm coinciderà con il ritiro di Beat Feuz, un altro grande campione della discesa, ma Beat lo spettacolo lo farà onorando la Streif come ha sempre fatto, battendosi per la vittoria fin da quando lascerà il cancelletto della partenza.

Chissà quali sentimenti matureranno nel profondo del suo io, sapendo che una volta sopravvissuto all’inferno della Mausefalle, dello Steilhang e di tutto quel che segue fino al traguardo, non ci sarà più un’altra volta, la possibilità di godersi una discesa da questa montagna incantata tutto solo, immerso dentro una bolla fatta di timori ed entusiasmo, davanti a 60 mila spettatori che trattengono il fiato e urlano il tuo nome.

Ogni atleta s’immagina la propria uscita di scena dallo sport d’élite in maniera differente: Cuche e Feuz in questo senso non sono simili, così come sono stati distanti nella maniera di gestire la propria carriera. I punti in comune tra i due sono stati i grandissimi risultati raggiunti, l’immenso carisma e il rispetto dei colleghi guadagnato sul campo, l’affinità nel modo di portare al traguardo lo sci, con una leggerezza e una delicatezza che nessun avversario riesce a mettere in pista (pensiamo alla “brutalità” che si portava dietro Hermann Maier; o alla sciata di forza di uno come Dominik Paris), una centralità ed un equilibrio che ha permesso ad entrambi, nella seconda parte della carriera e dopo un inizio niente affatto tranquillo, di evitare grandi cadute e brutti incidenti.

Per il resto, Didier Cuche era un maniacale perfezionista che non lasciava davvero nulla al caso e viveva una vita quasi da asceta.

L’ex-calciatore Johan Vogel raccontò una volta di essere stato a Londra con Cuche, era nel 2011, sorprendendosi del fatto che lo sciatore neocastellano non si concedesse nemmeno una birra e andasse sempre a letto presto.

Di Beat Feuz si raccontano invece storie che forse sono davvero soltanto storie e contribuiscono però ad alimentare la sua fama. Un po’ come succedeva ai tempi con Roland Collombin (chissà quanti lo ricordano ancora?) del quale si diceva che prima di lanciarsi in pista si beveva un bicchiere di Fendant…

Feuz, piccolino e tracagnotto, non ha mai avuto un fisico da vero atleta: si racconta che  prima di una gara non disdegni di mangiare la fondue o una pizza, che vada matto per la banana split. Insomma, tutto tranne che un atleta modello, anche nell’approccio con la gestione del materiale, migliorata nettamente solo dopo essere arrivato alla Head. Verità o leggenda? In fondo a noi non importa: Beat, un vero gentiluomo, ci ha regalato gioie ed emozioni immense e merita tutto il nostro rispetto, anche a fronte di dicerie che non fanno altro che ingigantire la sua leggenda. Avendolo frequentato un po’ sulle piste, durante competizioni importanti, ci resta il gradito ricordo di un atleta e di un uomo gentile, disponibile e professionale nel suo rapporto con i giornalisti.