Il Tour 2022 ci ha riconciliato col ciclismo

Tu chiamalo, se vuoi, il fascino maledetto del ciclismo. Uno sport capace di sopravvivere alle nefandezze, di farsi perdonare ripetutamente le porcherie nascoste nel suo vaso di Pandora, dal quale, quando qualcuno decide di scoperchiarlo, escono tutte le brutture dello sport.

Eppure… Eppure il mondo della pedivella sopravvive a se stesso, ai suoi mali, ai suoi imbrogli, crea e distrugge campioni e miti dei quali il pubblico continua ad innamorarsi come se non fosse mai successo nulla, come se il ciclista fosse un’anima candida e innocente. La storia sembra non aver insegnato nulla agli innamorati di questo sport, che a dispetto delle inchieste, delle prove e delle provette che escono (uscivano?) dopo ogni inchiesta e ogni perquisizione, riesce a tirar dritto per la sua strada, corteggiato dagli sponsor (qualche nome importante si è ritirato, ma il ricambio è assicurato e il carrozzone va avanti) e dall’amore smisurato di un pubblico pronto a perdonare tutto ai suoi beniamini e deciso più che mai a lasciarsi ipnotizzare dalla magia che emanano fughe, sprint, giochi di squadra e salite da togliere il fiato e annebbiare il cervello.

Se il ciclismo è un romanzo ammaliante e ricco di sorprese che manco ti puoi immaginare, è altrettanto vero che uno dei capitoli più belli di questo romanzo è rappresentato dal Tour de France, che in questi giorni rende più sopportabile la calura dei nostri pomeriggi. Senza voler essere blasfemi e rinnegare il fascino del calcio femminile che in Inghilterra si gioca il titolo europeo, il Tour è l’evento sportivo televisivo dell’estate. È l’appuntamento da non mancare, sia nelle battute iniziali, quando attraversa la placida Danimarca e ci regala le “gesta” dell’improbabile “grimpeur” danese Cort Nielsen che festeggia con enfasi il suo primato nella classifica degli scalatori, dopo essere passato davanti a tutti su un paio di collinette che non darebbero fastidio nemmeno ai cicloturisti della domenica, sia quando le cose si faranno serie, sulle Alpi, sui Pirenei, ma anche sulle strade del Nord coi loro terribili pavés.

Lo spettacolo del Tour è uno spot sapientemente studiato da una regia attenta ad ogni dettaglio. Lo sport travalica la sua dimensione agonistica per abbracciare la bellezza del paesaggio e fondersi in una rappresentazione affascinante, di fronte  alla quale non restano indifferenti nemmeno le persone che col ciclismo hanno un rapporto superficiale, ma che al cospetto delle immagini trasmesse dalla tivù non possono evitare di sognare un viaggetto in questo o quell’angolo di Francia.

A chi scrive, per dire, è venuta una voglia matta di Danimarca assistendo ai primi giorni della corsa, a conferma di quanto sia attrattiva la vetrina del Tour (che raggiunge picchi del 60% di share in tv), per avere la quale chi ospita le prime fasi della manifestazione (300 candidature all’anno) deve sborsare cifre molto importanti, decisamente più alte di quelle che una località deve pagare per avere una partenza (200 mila euro) o un arrivo (300 mila). Quello che in Francia chiamano il Gran Départ (due o tre giorni di corsa in un Paese lontano dalla patria della gara) economicamente fa storia a sé, ma non è detto che i soldi siano tutto per accaparrarsi il gran ballo iniziale. Christian Prudhomme, il patron del Tour, spiega infatti che l’assegnazione viene fatta anche sulla base di criteri sportivi: dove non c’è passione per il ciclismo, inutile pensare di poter ospitare la manifestazione solo per farsi pubblicità. Infatti, prendendo come esempio Copenaghen, la strada era tutta in discesa, la capitale danese essendo conosciuta come la città della bicicletta e la Danimarca una nazione in cui il ciclismo è molto popolare.