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Marsala, un vino caldo, nato dopo una notte tempestosa

MARSALA – Quando scende la sera, il sole caldo che tramonta sulla riserva naturale dello Stagnone manda riverberi dai colori pastello. Domina l’arancione, l’ambrato, l’atmosfera è calda, le onde del mare si muovono lente e cullano le barche dei pescatori, che galleggiano sullo sfondo delle bianche saline. Più in là un fenicottero spicca il volo, le pale dei mulini a vento roteano pigre.

Mentre sorseggio a dosi omeopatiche un bicchiere di Marsala, se chiudo gli occhi è questo paesaggio idilliaco che mi torna alla mente.

Tramonto sulla riserva naturale dello Stagnone: anche il regista Michelangelo Antonioni è rimasto ammaliato da questo paesaggio fiabesco.

Perché la riserva dello Stagnone è una delle porte d’ingresso della bellissima città siciliana che offre grandi momenti di barocco tra le sue strade e piazze, e dà il nome all’omonimo vino che quest’anno ha festeggiato i 250 anni dalla nascita. È alle spalle di questa riserva naturale che sorgono distese di vigneti di Grillo, Inzolia e Catarratto, dai quali si ricava l’uva necessaria a produrre un vino liquoroso che emoziona come un tramonto sullo Stagnone immortalato dal regista Michelangelo Antonioni.

In pieno centro a Marsala, Piazza della Repubblica

Diciamolo subito: il Marsala è un prodotto meraviglioso che però porta male i suoi anni ed è ormai più famoso per l’uso di cui se ne fa in cucina che non per i brividi caldi che induce quando lo si assaggia. Scaloppine al Marsala, pollo al Marsala, zabaione col Marsala… Una noia. Un torto reso ad un vino che nella sua storia ha avuto anche momenti di splendore, ma da qualche decennio fatica a riscuotere la considerazione che meriterebbe.

“L’occasione data dai festeggiamenti per i 250 anni del Marsala deve rappresentare un punto di svolta. L’anno scorso è stato ricostituito il Consorzio per la tutela di questo vino, noi produttori abbiamo capito e deciso che occorre lavorare insieme per rilanciarlo. Abbiamo due obiettivi, uno a livello di marketing per far conoscere ancora meglio, anche sul nostro territorio, come bere e abbinare il vino; l’altro è più tecnico: dobbiamo rivedere il disciplinare che è ormai obsoleto e troppo complicato, dato che prevede addirittura 29 tipi di Marsala” afferma Alexandra Curatolo Arini, discendente di una storica famiglia che produce Marsala, attiva in azienda come esperta di marketing e collaboratrice del Consorzio.

Alexandra Curatolo Arini

La storia del Marsala comincia nel 1773, quando il commerciante inglese John Woodhouse, in cerca di merci lungo le coste del Mediterraneo, con la sua nave finisce in mezzo ad una tempesta e cerca riparo nel porto della città che più tardi sarà resa famosa anche dallo sbarco dei Mille guidati da Garibaldi. Qui scopre il vino locale, chiamato Perpetuo, che gli piace tantissimo.

Woodhouse aveva lavorato in Portogallo e per ragioni professionali conosceva le abitudini degli inglesi e i mercati del Madeira, dello Sherry e del Porto. Non gli ci volle molto a capire che si trovava di fronte ad un autentico tesoro e così caricò la sua nave con trenta botti da 415 litri, nelle quali mischiò al Perpetuo dell’acquavite, esattamente come gli inglesi già facevano col Porto o lo Sherry. Per ingannare i connazionali, Woodhouse mandò il vino oltre la Manica con la denominazione Madera. Il successo fu immediato e talmente ampio, che le richieste andarono alle stelle: il Marsala inizialmente veniva venduto a Londra con la denominazione di “Sicily Madeira”. A fare le fortune di questo vino, commerciandolo in tutto il mondo, fu però una famiglia siciliana molto conosciuta, quella dei Florio, che nell’Ottocento fece sbarcare il Marsala in America, permettendogli di diventare l’ambasciatore del “made in Italy”.

“Per produrre il Marsala, che viene vinificato con uva a bacca bianca ma con la stessa tecnica utilizzata per la macerazione e la fermentazione dei vini rossi, la raccolta dei grappoli viene ritardata, ciò che consente di avere più zucchero negli acini e di conseguenza più tenore alcolico” spiega Alexandra Curatolo Arini.

Con uno spettro alcolico che varia da 15 a 22% vol., il Marsala è particolarmente versatile e si presta ad accompagnare bene differenti cibi.

“Ogni tipologia si caratterizza per una presenza più o meno importante di zucchero – spiega Alexandra. Se abbiamo un Marsala “secco” lo zucchero residuo sarà presente da 0 a 40 g per litro; nel caso del “semi-secco” siamo tra 40 e 100 g; col “dolce” superiamo infine i 100 grammi al litro. In qualsiasi caso, secondo il mio parere la temperatura di servizio deve essere sui 12 gradi”.

Il disciplinare prevede come detto tre tipologie “base”, alle quali si aggiungono due “riserve”. Il Marsala “Fine”, che possiamo considerare una sorta di vino d’entrata, invecchia un solo anno in botti di rovere o ciliegio. Nella sua versione dolce è protagonista nell’ambito della pasticceria.

La tipologia “Superiore” deve maturare per almeno due anni nella botte, è un vino che ha un bouquet più ampio rispetto al “fine” e può ottenere anche la denominazione “Riserva” se rimane nella botte per almeno quattro anni.

Infine, il Marsala “Vergine” rappresenta il top di gamma: deve invecchiare almeno 5 anni, minimo 10 per avvalersi della dicitura “Riserva”. Contrariamente alle altre due tipologie non subisce quella che viene definita la “concia”, ossia l’aggiunta di mosto cotto che serve a dare il colore ambrato, o della “mistella”, un mosto fresco con l’aggiunta di alcol per fortificare il vino. Potremmo ancora scrivere del metodo Soleras, utilizzato per produrre la tipologia “Vergine”, ma a questo punto siamo già presi da un capogiro e comprendiamo bene perché uno degli obiettivi del Consorzio sia semplificare il disciplinare.

Per quanto non sia facilissimo orientarsi tra le varie tipologie di questo vino, possiamo dire che un grande Marsala Vergine ha note di liquirizia, cannella, frutto caramellato, può essere mieloso, ma mai dolce e accompagna piatti importanti, anche di pesce. Per l’aperitivo preferite un Superiore secco, anche in versione “Riserva”, che con la sua struttura forte riuscirà ad esaltare anche i formaggi, soprattutto piccanti o erborinati. Per il dessert, specie con la pasticceria, un Superiore “dolce” andrà alla perfezione. Un consiglio finale? Assaggiate, gustate, scoprite. Non rimarrete delusi.