Se è vero che la fortuna aiuta gli audaci, allora i cinquanta viticoltori del Bellinzonese che hanno preso parte alla tradizionale gita sociale della Federviti regionale presieduta da Mirto Ferretti possono davvero ritenersi tali, considerato che si sono ritagliati due giorni di splendido sole – sabato 30 e domenica 31 agosto – incastonati tra la pioggia e il grigiore dei giorni che hanno preceduto e seguito la gita.
Si va alla scoperta di alcune realtà vitivinicole importanti, tutto sommato ad un tiro di schioppo da noi: a Monleale, non lontano da Tortona, un lembo di terra incastonato tra il Monferrato e l’Oltrepò, facciamo la conoscenza con il Timorasso rilanciato da Walter Massa; a Boca, nell’alto Piemonte, in provincia di Novara tra la Valsesia e il lago d’Orta, incontriamo Christoph Künzli, uno svizzero che ha contribuito non poco a rilanciare la DOC di quel comune, dove il vitigno principe è il Nebbiolo.

Tra i due appuntamenti, nel corso della cena di sabato sera all’Agriturismo Mulino Taverna di Cilavegna, in Lomellina, bella degustazione un po’ a sorpresa di vini dell’Oltrepò e dell’Azienda Bruno Verdi, con la presenza del titolare Paolo Verdi e della sua gentil consorte.
Quando si parte da Castione e Giubiasco il mattino di buon’ora (ma non troppo…), il cielo è ancora grigio e qualche scroscio di pioggia batte contro i finestrini del torpedone. Più giù, in Lombardia, le nubi si diradano e il sole ci illumina quando dopo due ore e mezza di viaggio saliamo la collina di Monleale per prendere posto sulla soglia del magnifico anfiteatro che caratterizza una parte dei vigneti dell’azienda diretta da Walter Massa (vignetimassa.com)

Filippo Alutto, della nuova generazione della Vigneti Massa a Monleale © Comclaris

Ad accoglierci, il nipote Filippo Alutto, che con il fratello sta assicurando la transizione dalla vecchia alla nuova generazione.
Se Walter è considerato un personaggio istrionico, Filippo sembra aver imparato bene l’arte dello zio e la sua conduzione della degustazione con le spiegazioni relative alla filosofia e alla storia dell’azienda sono state divertenti ed esaustive. Walter passa per un saluto veloce, siamo in vendemmia, ci sono molti impegni, ma l’impressione è che voglia soprattutto lasciare il palcoscenico alla nuova generazione. Lui non ha più bisogno di consensi.

Walter Massa © Comclaris

È il padre del Timorasso, vitigno che sembrava destinato alla sparizione e che ha rilanciato a partire dagli anni Ottanta, a volte disobbedendo, estirpando vigneti e impiantandone altri, praticando il diradamento dell’uva, scoprendo che il Timorasso vinificato poteva risultare piacevole e vincente solo dopo aver riposato a lungo in cantina. Ha condiviso il suo progetto con altri viticoltori della zona, non è mai stato geloso delle sue pratiche e delle sue scoperte, ha capito che il successo di un vino si ottiene con l’unione delle forze, la determinazione e la condivisione delle esperienze. Timorasso e Barbera di ottima qualità nei calici dei partecipanti (Piccolo Derthona; Derthona; Monleale e Sentieri le etichette degustate), pranzo in loco e rientro su Vigevano, dove l’Hotel del Parco è stato il nostro quartier generale per la notte.
Prima della cena però, come non dare un’occhiata ad una delle piazze più belle d’Italia, Piazza Ducale voluta sul finire del Quattrocento da Ludovico il Moro, splendido complesso scenografico rinascimentale che coi suoi portici introduce al magnifico castello sforzesco, con la sua strada coperta, la torre del Bramante, i cortili, le residenze signorili, le enormi scuderie dei cavalli.

Una veduta di Piazza Ducale a Vigevano © Comclaris

La cena al Mulino Taverna di Giuditta Banfi a Cilavegna è andata un po’ per le lunghe, ma il cibo era buono, l’atmosfera elegante, l’ambiente che ha coinvolto i partecipanti rilassato e divertente.
Paolo Verdi, produttore dell’Oltrepò e titolare di una storica azienda vitivinicola (https://www.brunoverdi.it/), ha presentato i suoi vini, partendo da un classico della zona: uno spumante a base di Pinot Nero, Chardonnay e Pinot Meunier, il Vergomberra, un metodo classico elegante dalla lunga permanenza sui lieviti che nel 2025 si è visto riconoscere i tre bicchieri dalla Guida del Gambero Rosso. Riesling renano, Bonarda frizzante (Croatina), Buttafuoco (Croatina, Barbera, Uva Rara, Ughetta di Canneto) e un Moscato sul classico Bonet hanno dato un tono alla serata.

Paolo Verdi e il presidente della Federviti di Bellinzona e Mesolcina Mirto Ferretti.
© Comclaris

Dal confortevole e moderno Hotel del Parco di Vigevano verso Boca la strada risale in direzione Nord per un’oretta abbondante. L’incontro previsto domenica con Christoph Künzli è un altro di quelli che lascia il segno. Questo mancato ingegnere edile zurighese si è ritrovato travolto dalla sua passione per i vini, è diventato importatore in Svizzera e girando il mondo si è imbattuto in un vecchio produttore di Boca, Antonio Cerri, dal quale ha rilevato la proprietà all’inizio degli anni ’90.
Bellissima la storia di Boca, dei suoi vigneti che un tempo lontano erano l’unica area vignata pregiata d’Italia; che ha messo il suo vino nelle bottiglie di vetro quando ancora nessuno lo faceva, mandandole e facendole conoscere in tutto il mondo; che dagli anni Cinquanta ha visto il bosco divorare i vigneti abbandonati dai contadini che lasciavano la campagna attratti da un lavoro e da un reddito sicuri nelle fabbriche sorte nella regione (da 40 mila ettari di vigna ai 700 di oggi).

Christoph Künzli
© Comclaris

Christoph ha capito il valore del territorio, ha recuperato terreni incolti, ha disboscato e impiantato vigne, ha ridato gloria e vigore al Nebbiolo che nel frattempo si era imposto nelle Langhe, ha contribuito in maniera importante a rilanciare la DOC di Boca.
Oggi la sua azienda Le Piane è un faro della regione, i suoi vini sono stati pluripremiati e in cantina Christoph custodisce un tesoro di vecchie etichette che rappresentano la memoria dell’azienda, risalendo persino alla produzione del vecchio Cerri.
Nebbiolo, Croatina (vinificata anche in purezza, ma non come la Bonarda), Vespolina e altre qualità autoctone sono i cavalli di battaglia dell’azienda, che con l’Erbaluce produce anche un vino bianco molto aromatico e minerale.
Dopo una degustazione che ha permesso ai partecipanti di scoprire quasi tutte le etichette prodotte a Le Piane, prima del ritorno in Ticino pranzo delizioso a base di prodotti regionali presso il ristorante Il Vigneto di Gattinara, a conclusione di una due giorni davvero interessante e caratterizzata da tanta armonia e simpatia.

 

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Addentrarsi d’autunno nei Colli Euganei, percorrendo strade a tratti un po’ tortuose, è un’avventura che ti cattura e ti ammalia.

Andiamo alla ricerca di una declinazione nuova del Moscato Giallo, un vitigno un po’ trascurato, conosciuto come il vino delle torte e dei dessert, cosa che fa arrabbiare moltissimo Elisa Dilavanzo, una storia personale tutta da raccontare e una passione per il vino e per la sua terra che, grazie alla sua grande tenacia, le ha permesso di realizzare a Baone, nel cuore del Parco dei Colli Euganei, il regno di Maeli.

Arrivando da Padova te li trovi lì quasi inaspettatamente, i Colli, dopo aver attraversato una pianura veneta che sembra infinita: sono “coni” imponenti, che a novembre si colorano di un rosso tendente all’arancio e all’ocra; nascondono borghi pittoreschi, suggestivi paesaggi naturali, ville e castelli che raccontano storie importanti. E vigneti avvinghiati alle colline, che stanno per affrontare il meritato letargo dopo la vendemmia.

Queste geometrie sono state modellate da fenomeni vulcanici risalenti a oltre 40 milioni di anni fa: lo sguardo da una parte si staglia sulle Dolomiti, dall’altra sulla Laguna di Venezia. Uno spettacolo.

Il Moscato Giallo qui è di casa: è un vitigno che ormai si può definire autoctono, anche se le sue origini sembrano siriane ed è arrivato nel nord-est dell’Italia probabilmente grazie ai mercanti veneziani. Vitigno aromatico, nei Colli è vinificato soprattutto come spumante dolce o passito e viene chiamato Fior d’Arancio.

Ma è il momento di far entrare in gioco Elisa e il mondo di Maeli, che è il nome di una cantina attenta all’identità del territorio e dunque anche alle potenzialità del Moscato Giallo, il quale nasce e si sviluppa su terreni di antichissime origini vulcaniche, ricchi di trachite, calcare e argilla mescolati a strati di marna e di limo. Ecco, da dove salta fuori il nome della cantina: Ma da marna e Li, da limo.

“Fin da quando mi sono avvicinata al mondo del vino e ho imparato a conoscerlo, ho sempre pensato che il Moscato Giallo fosse un vitigno sottovalutato. Spesso nei commenti di chi lo assaggiava ho sentito che fosse un vino interessante solo per accompagnare i dolci, adatto alle donne e addirittura perfetto per chi non capisce nulla di vini. Non ero e non sono per nulla d’accordo: trovo che questo vitigno, crescendo su un territorio come quello dei Colli, abbia una sua importanza, dia un vino profondo, complesso, elegante e minerale, addirittura capace di invecchiare bene” attacca Elisa.

Lei è una donna tenace, che non solo insegue i suoi sogni, ma li realizza. Maeli è una sua creatura, risponde ad una sua esigenza di valorizzare la terra dov’è nata, ma al mondo dei vini Elisa Dilavanzo ci arriva per gradi, dopo essere stata finalista del concorso di Miss Italia nel 1997 e dopo aver lavorato nel mondo del giornalismo e della televisione in particolare.

“A quel tempo viaggiavo molto e ciò mi ha permesso di sviluppare la conoscenza del mondo dell’enogastronomia ed appassionarmi ai vini. Mi sono diplomata come sommelier e ad un certo punto ho capito che il mondo della televisione non era quello più adatto a me. Così ho lasciato la tivù per andare a vendere vino (francese, ndr), con mia mamma che mi ha consigliato di farmi visitare da uno psicologo…”.

Un giorno Elisa bussa alla porta di un grande albergo di Abano e dopo una lunga attesa riesce a farsi accogliere dal direttore, che incanta parlandogli di Borgogna e Champagne. “Guardi che io sono astemio, di vino non capisco nulla” gli risponde il suo interlocutore, che vedendola appassionata e competente, le propone però di occuparsi personalmente del recupero e della valorizzazione di alcune vecchie vigne che ha comprato sui Colli. Scommessa accettata, Elisa si rimbocca le maniche, va sul terreno, ricorda giornate intere trascorse ad estirpare rovi ed erbacce.

Parte Maeli, ma il proprietario ben presto vuol vendere ed allora Elisa (“Non avevo i soldi per comprare”) si ricorda di aver conosciuto qualche anno prima Gianluca Bisol, proprietario della grande azienda produttrice di Prosecco a Valdobbiadene: lo chiama, gli spiega il progetto, lo convince a diventare socio dell’azienda che a questo punto passa di mano. Il regno di Maeli ha una sua regina, il progetto di valorizzazione del Moscato Giallo può proseguire e svilupparsi ulteriormente.

“Sono sempre stata convinta che la vocazione agricola, i terreni di origine vulcanica e la biodiversità di questo territorio potessero regalare ai vini peculiarità uniche. È così che ho deciso di puntare in primis sul Moscato Giallo, vitigno ingiustamente sottostimato, e successivamente sul Carmenere, coltivato sin dal 1830 nei Colli Euganei e protagonista dei vini rossi Maeli in taglio bordolese” racconta Elisa.

Maeli è l’unica cantina al mondo a produrre il Moscato Giallo in cinque declinazioni differenti, lavorandolo attraverso pratiche agronomiche ed enologiche sostenibili e rispettose della natura. Dal 2020 infatti, i vini prodotti da Elisa sono certificati bio. Le versioni sono quelle del “tradizionale” spumante dolce, al quale si associano un metodo classico brut nature, un vino frizzante imbottigliato coi propri lieviti e rifermentato in bottiglia secondo il metodo ancestrale, un vino fermo secco e un passito.

Due vini, fra i bianchi, hanno attirato in particolare la nostra attenzione: il “Dilà”, ossia la versione bollicine brut del Moscato Giallo vinificato seguendo il metodo classico, e il “Bianco Infinito”, che invece è un Moscato Giallo secco, affinato in acciaio per 18 mesi.

Il primo è caratterizzato da un perlage di bollicine molto fini e persistenti, è un vino elegante, dalla forte espressione minerale che si sviluppa dopo un attacco floreale e fruttato, con accenti di frutta esotica. Il secondo è morbido all’approccio, con note di frutta gialla, di pesca e un’acidità ben bilanciata.

Non possiamo finire senza un accenno anche ai rossi prodotti a Maeli che, come detto, sono di taglio bordolese e dunque vedono protagonisti Merlot e Cabernet Sauvignon, ma in combutta col Carmenere, un antico vitigno che dà colore e struttura ai vini e viene utilizzato in proporzioni diverse a dipendenza dell’etichetta. “Rosso Infinito” e “D+” sono vini che esprimono potenza, aromaticità e note fruttate di rara eleganza, adatti all’invecchiamento e all’abbinamento con pietanze ben strutturate.

Se già non lo è, è destinato a diventare un piccolo gioiello enogastronomico sospeso tra il lago e il cielo. Incastonato nel Relais Castello di Morcote, lo storico ristorante La Sorgente di Vico Morcote prende nuova vita, diventando di fatto un nuovo tassello della Tenuta Castello di Morcote, rinomata azienda vitivinicola famigliare, diretta da Gaby Gianini e dal marito Maurizio Merlo, che punta da anni sull’accoglienza autentica e su vini di qualità (biologici e biodinamici), tanto da essere ormai diventata una vera e propria destinazione nel panorama enogastronomico svizzero.

Gaby Gianini, Maurizio Merlo, lo chef Francesco Sangalli e il suo secondo, Mattia Bacchivini: un team che darà lustro al ristorante La Sorgente.

Il ristorante conta una ventina di coperti soltanto (vogliamo dirlo? Una premessa di qualità), suddivisi nelle due storiche sale o sul terrazzo con vista lago del Relais Castello di Morcote, edificio del XVII secolo, dove si può anche pernottare in una delle 12 camere, una diversa dall’altra.

Gaby e Maurizio per questa loro avventura hanno individuato un talento di sicuro avvenire, il giovane chef Francesco Sangalli che, come obiettivo, pone al primo posto la ricerca di prodotti di qualità del nostro territorio, scovati tra piccoli produttori locali, e impreziositi da tecniche di cottura molto accurate e mai banali, come la fiamma viva, il carbone e le affumicature (da provare il burro affumicato proveniente dall’alpe Vicania, una vera delicatezza). Il risultato finale si riscontro in un’alta cucina che rivolge un occhio al futuro, al sostenibile e verso le scelte più corrette per l’ambiente.

Due giovani chef ambiziosi scalpitano in cucina: Francesco Sangalli e Mattia Bacchiavini.

Le proposte della carta sono vivaci e inseguono la stagionalità, percorrendo i cambiamenti naturali e la disponibilità delle materie locali, dando valore alle realtà contadine ed al lavoro di persone autentiche. L’anima del ristorante La Sorgente, che prende il nome dalla fonte ubicata sulla sua incantevole terrazza panoramica, sono due ragazzi dal pedigree culinario di tutto rispetto: in primis lo chef Francesco Sangalli, nato a Brescia e cresciuto con la vocazione di cuoco nell’anima.

Spaghetto all’aglio nero, prezzemolo e missultin grigliato

 

Francesco inizia giovanissimo a muoversi tra pentole ed aromi, poi si diploma a 22 anni presso la prestigiosa Accademia di Cucina Italiana ALMA, come primo della classe. Dopo un’esperienza ai fornelli dello chef Gennaro Esposito, torna in Lombardia e cucina in diversi ristoranti stellati: al Piccolo Lago e da Cracco a Milano, poi in Ticino come sous chef al Concabella e infine come secondo chef al The View di Lugano, dove ha dato il suo contributo per l’ottenimento della prima stella Michelin del locale nel 2023.

Coniglio farcito servito con salsa alla spugnole e porro arrostito

Cucina genuina, con pochi fronzoli, lavorazione di prima mano degli ingredienti, anche perché la brigata è tutt’altro che esagerata: ad affiancare Sangalli c’è Mattia Bacchiavini nel ruolo di sous chef e pastry chef. Classe 1997, anche lui inizia presto, animato dalla sua grande passione per la cucina: si diploma all’Accademia ALMA e nel 2017 inizia il suo percorso approdando alla corte di chef Cracco, dove incontra Francesco Sangalli. Da quel momento la sua figura è per Mattia la principale fonte d’ispirazione. Lavora in diversi ristoranti stellati, finché arriva il grande salto quando viene chiamato dai fratelli Cerea, diventando chef pasticcere al Da Vittorio di Brusaporto (BG), 3 stelle Michelin. Oggi, il legame personale e professionale tra Mattia e Francesco si rinnova dando vita ad una cucina che si distingue per un’elaborazione di piatti che incantano vista, olfatto e palato. In sala accoglie i clienti il sorriso di Norman Summa, che grazie alla sua professionalità e alla sua cortesia è la premessa ideale perché questo giovane trio dia vita ad un ritrovo che saprà catturare l’attenzione di innumerevoli appassionati dell’arte enogastronomica.

Indirizzo
Portich da Sura 18, 6921 Vico Morcote, Svizzera
Telefono + 41 91 996 23 01
E-mail info@ristorantelasorgente.ch
Sito web www.ristorantelasorgente.ch

I vini ticinesi della nuova annata viaggiano in treno, un treno davvero speciale, il Prestige Continental Express, che a prima vista ricorda i tempi gloriosi d’inizio del secolo scorso.

Vini bianchi, rosati e alcuni spumanti che non abbisognano di una lunga maturazione sui lieviti ti sorprendono con loro freschezza, i sentori di frutta, il profumo floreale, un buon tenore di acidità e sono bell’e pronti per essere messi sul mercato e aggiungere un tocco di classe alla tavola del consumatore. Delizieranno i nostri aperitivi all’aperto, daranno tono alle nostre serate estive.

L’ha confermato una degustazione organizzata da Ticinowine, che in collaborazione con il partner storico Rapelli, in coincidenza con l’inizio della primavera ha coinvolto una quindicina di produttori di vino del nostro cantone e ha promosso un romantico viaggio in treno da Lugano a Giornico con ritorno a Locarno.

Il Prestige Continental Express si è proposto come un palcoscenico ideale, con le sue eleganti carrozze, denominate Le Salon Bleu, Le Rubis Noir e Le Diamant Bar, un tempo già in uso come vagone ristorante e che nel 1999 hanno ritrovato il servizio grazie ad una paziente opera di restyling ispirata al leggendario Orient Express. Oggi questo treno speciale si presta perfettamente per delle trasferte che permettono un servizio gastronomico di alto livello, addirittura accompagnato da un pianista che esegue musica dal vivo nel Diamant Bar.

La presentazione dei vini bianchi, rosati e degli spumanti organizzata da Ticinowine ha raccolto l’adesione di giornalisti del settore, operatori dell’enogastronomia e sommelier professionisti che si sono lasciati viziare nel corso di una giornata che da un lato ha avuto la capacità di evidenziare l’ottima qualità di una produzione non più secondaria rispetto a quella dei vini rossi, dall’altro quella di mettere direttamente in relazione i produttori con numerosi attori principali del mercato.

Il treno speciale, partito dal binario 3 della stazione ferroviaria di Lugano, attraverso la vecchia linea del Ceneri si è spinto sino a Giornico, dove i partecipanti hanno potuto continuare la degustazione accompagnando una deliziosa fondue di formaggio del Caseificio del Gottardo, servita presso lo splendido Museo di Leventina.

Una passeggiata attraverso i magnifici ponti in pietra che collegano alla terraferma l’unica isola abitata sul fiume Ticino prima del Verbano, ha riportato gli ospiti al treno speciale. Sulla via del ritorno ad ergersi protagonisti sono stati soprattutto gli spumanti, ottimi compagni di un assaggio della colomba pasquale. Bianchi, rosati e spumanti ticinesi hanno superato appieno l’esame, raccogliendo grandi consensi e offrendosi come una valida alternativa, o come complemento, alla bottiglia di vino rosso.
Oltre al direttore di Ticinowine Andrea Conconi e al presidente della stessa associazione Uberto Valsangiacomo, prima uscita ufficiale per la neonominata Maria Grazia Carbone, che dal prossimo autunno subentrerà a Conconi nella direzione di Ticinowine.

La neo direttrice di Ticinowine Maria Grazia Carbone con l’attuale direttore Andrea Conconi

Una delle ultime invenzioni di Angelo Delea, il vulcanico produttore di vini locarnese, si chiama Blank Angel e nel nome in fondo è già raccolto il segreto di questo vino… Sennonché, ammesso che Blank stia a significare “bianco” e Angel richiami il nome del suo “inventore”, il segreto sta nel fatto che il Blank Angel sia in realtà una novità mondiale, ossia un Merlot bianco, ma non il classico bianco ottenuto da bacca rossa, ossia dal vitigno Merlot tradizionale. Qui Delea si è superato, mettendo a punto dopo anni di ricerca un autentico Merlot bianco.

“Sì, siamo di fronte ad una grande novità – spiega Angelo Delea – perché questo vino è il risultato di una mia ricerca ostinata di proporre qualcosa di diverso con un Merlot. Ma quale Merlot? Quello vinificato in bianco lo facciamo tutti… Io ho scoperto che esisteva questo ceppo di uva bianca di Merlot in Francia e ho fatto svolgere delle ricerche dal mio fornitore di barbatelle e dopo anni l’abbiamo trovato. Nel 2017 è partito il lavoro, che consisteva nel rigenerare delle piantine con delle marze. Ne ho ricevute 50 che ho messo a dimora, poi altre 200: tutto il lavoro viene svolto in Francia e finalmente nel 2022 siamo riusciti a produrre un po’ di questo vino, un Merlot di bacca bianca particolarissimo”.

In sostanza, grazie alla collaborazione con questo fornitore francese di barbatelle, è stato possibile studiare e selezionare una varietà di viti completamente nuova per i vigneti di Delea, incrociando una “Folle Blanche” (vitigno tipico delle zone di produzione del Cognac e dell’Armagnac) col Merlot Noir, il che rende il Blank Angel un vino veramente unico.

“Non si tratta di un vino aromatico, non è un Sauvignon o uno Chardonnay – spiega Angelo Delea – ma delle sue caratteristiche peculiari molto interessanti, già per il fatto che è un vino unico. Credo infatti di essere il solo a produttore a coltivare questo vitigno. Ho voluto marcare con la kappa finale il nome di blanc proprio per l’unicità di questo vino, che viene affinato in barriques già usate perché non vogliamo dare un’impronta legnosa. Vogliamo infatti che questo vino abbia una maturazione lenta e un carattere particolare, con dei leggeri aromi di finocchietto, di legno morbido, un vino piacevole, da aperitivo e pesce di lago”.

Il vigneto che ospita questa varietà di Merlot bianco sorge a Quartino su un appezzamento collinare rivolto verso il Lago Maggiore e conta circa 4’000 ceppi.

Si tratta di un vino con una buona struttura e un’acidità importante, data sicuramente dalla Folle Blanche; ha un carattere fresco e sapido, con note di bergamotto e fiori bianchi all’olfatto. Un bianco complesso, che si abbina non solo al pesce, ma ad una grande varietà di piatti tra i quali anche antipasti e verdure.

“Castégna” e “Scaviscià”: il già ricco patrimonio vinicolo ticinese si arricchisce di due nuove etichette, prodotte da una sinergia maturata tra l’azienda Mondò di Sementina e la Castagnostyle di Sigirino. La partnership tra le due aziende è stata favorita dall’amicizia profonda che lega i due titolari, Giorgio Rossi dell’azienda Mondò (nella foto) che produce da anni grandi vini, e Stefano Jorio, che essendo ingegnere forestale si occupa invece di legname e particolarmente dell’albero più rappresentativo della nostra civiltà, il castagno.

Dal loro sodalizio prima o poi non poteva che nascere un vino particolare, legato in tutto e per tutto al nostro territorio. È risaputo che il vino migliore viene affinato in botti di legno, ma generalmente si parla di botti di rovere anche quando ci si riferisce a contenitori di origine locale. Qui invece le botti utilizzate per la maturazione del vino sono state prodotte con un ticinesissimo castagno.

Ecco allora il rosso “Castégna”, un Merlot in purezza in stile classico, invecchiato per un anno in barrique da 225 litri, e il bianco “Scaviscià” – esemplare espressione dialettale che riassume il gesto di estrarre la castagna dal riccio con un attrezzo di legno – prodotto con due vitigni interspecifici a bacca bianca, il Sauvignac e il Cabernet Blanc, assemblati e lasciati maturare per sei mesi in una botte grande da 500 litri.

L’affinamento in botti di castagno ha dato nobiltà ad entrambi i vini, ha messo in risalto le peculiarità classiche dei vitigni, ne ha moltiplicato i profumi e ingentilito gli aromi.

“Tutto nasce dall’amicizia che mi lega a Stefano fin dai tempi della scuola reclute – racconta Giorgio Rossi. Su fronti differenti, entrambi ci siamo trovati ad operare sul territorio ticinese creando prodotti legati alla natura. Forse non riflettiamo mai abbastanza sulla ricchezza del nostro territorio e sulle opportunità che ci offre. L’idea di creare qualcosa in comune frullava da un po’ nelle nostre teste, ma è stato necessario un po’ di tempo per arrivare alla meta: il sodalizio tra vino locale e botti prodotte col nostro legno di castagno in fondo era lo sbocco naturale al quale approdare dopo le nostre riflessioni, un modo per unire due mondi apparentemente distanti, ma uniti da radici comuni”.

L’elegante imballaggio e le due etichette dei vini sono stati messi a punto dopo un concorso di idee promosso dalle aziende produttrici, le quali per la commercializzazione hanno scelto non la classica bottiglia da 75 cl, bensì un formato più grande, una magnum da 1,5 litri che consente di ulteriormente valorizzare un prodotto di assoluta qualità.

“Abbiamo scelto questo formato perché al momento abbiamo optato per una piccola produzione, qualcosa di un po’ esclusivo, insomma, e infatti ogni bottiglia è numerata” commenta Giorgio Rossi, che ci tiene anche a sottolineare come l’utilizzazione di botti in castagno sia una sorta di recupero della tradizione.

“In passato quasi tutti i vini prodotti in Ticino erano infatti conservati fino all’imbottigliamento in barili di castagno, perché era il legno più accessibile e più affidabile. Noi in fondo non abbiamo inventato nulla, abbiamo solo ridato vita ad una vecchia consuetudine della quale non rivendichiamo nemmeno l’esclusiva, dato che qualche anno fa anche il collega Gianfranco Chiesa della Vini Rovio aveva fatto degli esperimenti in questo senso”.

Il concorso di idee per la definizione dell’imballaggio e delle etichette, indetto dai promotori la scorsa primavera, ha visto la partecipazione di una decina di interessati. Tra i lavori presentati, la giuria ha deciso di premiare la proposta elaborata da Massimo Prandi, caratterizzata da una grafica essenziale e lineare, rappresentativa della complessità del prodotto, della convergenza tra i materiali utilizzati, delle persone che hanno immaginato questa proposta, del loro lavoro e della loro amicizia. Etichette e imballaggio sono caratterizzati da una forte riduzione degli elementi grafici, ciò che è stato apprezzato particolarmente dalla giuria.

Quello della cantina Mondò e di Castagnostyle rappresenta una sorta di esperimento, il cui esito è stato accolto positivamente sia dai promotori, sia dalla clientela.

“Pensando alla qualità dei vini, possiamo parlare di sorpresa: mi aspettavo un prodotto un po’ rustico; invece, sono usciti un rosso e un bianco eleganti, che portano in dote una bella finezza. Il castagno, coi suoi tannini importanti, è riuscito a conferire al vino una bella freschezza. Il bianco poi è davvero speciale: abbiamo scelto delle varietà interspecifiche per produrre un vino sostenibile, ma questo genere di vitigni a volte ha delle note vegetali pronunciate che necessitano di una buona ossigenazione per essere contenute. In questo senso, il legno di castagno ha svolto un ottimo lavoro e infatti dopo questo primo esperimento pensiamo di riproporre in futuro gli stessi vini, magari con quantità maggiori” conclude Rossi.